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UTO UGHI - Una vita dedicata al violino

Erede delle prime grandi scuole violinistiche nate e fiorite in Italia, lo straordinario talento di Uto Ughi si è manifestato fin dalla prima infanzia. A solo dodici anni, la critica scriveva di lui: "Uto Ughi deve considerarsi un concertista artisticamente e tecnicamente maturo".

Ha iniziato le sue grandi tournée esibendosi nelle più importanti capitali europee. Da allora la sua carriera non ha conosciuto soste. Ha suonato in tutto il mondo, nei principali Festival e con le più rinomate orchestre sinfoniche, diretto dai più grandi maestri del nostro tempo.

Uto Ughi non limita i suoi interessi alla sola musica, ma è in prima linea nella vita sociale del Paese e il suo impegno è volto soprattutto alla salvaguardia del patrimonio artistico nazionale. In quest'ottica ha fondato prima il festival Omaggio a Venezia, con lo scopo di raccogliere fondi per il restauro dei monumenti storici della città, e in seguito il festival Omaggio a Roma (dal 1999 al 2002), raccogliendone l'ideale eredità di impegno fattivo, mirando alla diffusione del grande patrimonio musicale internazionale e organizzando concerti aperti gratuitamente al pubblico ed alla valorizzazione dei giovani talenti formatisi nei conservatori italiani.

Tali ideali sono stati ripresi nel 2003 e attualmente portati avanti dal festival Uto Ughi per Roma, di cui il violinista è ideatore, fondatore e direttore artistico.

Maestro, il suo straordinario talento musicale è emerso fin dal suo debutto in pubblico, al Teatro Lirico di Milano, a soli 7 anni. Ha qualche ricordo delle sue prime performance?

I ricordi  più vivi sono di quando avevo 10 anni e mi introdussero all’Accademia Chigiana, che era la più importante scuola di perfezionamento del mondo ed ospitava i più grandi interpreti  del secolo: ho avuto la fortuna di seguire i corsi di Enesco, Segovia, Casals, Celibidache, Cortot.

Una vita dedicata alla musica. Com’è sbocciato il suo amore per quest’arte, ed in particolare per il violino, e in che modo è avvenuta la sua formazione musicale?

Stando a contatto con i grandi musicisti che frequentavano la mia casa, come il primo violino Coggi. Oppure alla Scala, sotto la guida di Toscanini e tanti altri. E poi mi portarono a Parigi da Enesco, che era il maestro di Menhuin: il mio idolo da sempre ed uno degli artisti che ha ispirato tutta la mia vita musicale.

Cosa prova durante un concerto e cosa cerca di trasmettere al suo pubblico?

La condivisione dell’emozione. L’arte è condivisione. Paganini diceva: nessuno riesce a comunicare se prima non emoziona se stesso.

C’è qualche brano in particolare che preferisce interpretare più di altri? 

Penso che la musica sia uno straordinario veicolo di comunicazione e di educazione al buon gusto, alle scelte di vita, e i giovani che hanno la fortuna di conoscerla e di amarla difficilmente seguono strade sbagliate come la droga, la violenza… la musica è una straordinaria disciplina spirituale, che può veramente migliorare una società. Il brano, quindi, dipende dal momento emotivo in cui ci si trova e anche dalla necessità spirituale del momento che si sta vivendo.

Il 1° novembre sono uscite, per la prima volta in assoluto in CD, le Sonate per Violino di Beethoven, pubblicate da Sony Classical International, da lei registrate nel 1978 insieme allo straordinario pianista Lamar Crowson. Cosa rappresenta Beethoven, per un violinista?

Queste sonate di Beethoven sono la sua opera più importante, scritta per il violino ed il pianoforte, e comprendono tre periodi distinti della creazione beethoveniana: il primo è il periodo della forma classica della sonata, espresso dalle prime sonate, fino alla primavera: tra queste, la sonata numero 7; il secondo è il periodo eroico, quello più drammatico, che comprende la sonata numero 9 (da me eseguita con lo Stradivari Kreutzer, a cui Beethoven dedicò la  sua celebre sonata) e in cui il musicista, essendo un convinto assertore della libertà dei popoli dai regimi oppressivi, manifesta tutti i suoi ideali di eroismo; e, infine, la sonata numero 10 op. 96,  fa parte dell’ultimo periodo della creazione di Beethoven, come del resto gli ultimi quartetti, che segnano il superamento della grande sofferenza dovuta alla sua malattia – la sordità – riflettendosi in una profonda meditazione e nella risoluzione delle angosce terrene: un periodo di pura contemplazione della bellezza e profondità spirituale.

Tra i violini in suo possesso figurano uno Stradivari Van Houten-Kreutzer del 1701 ed un Guarneri del Gesù Cariplo-Hennel-Rosé del 1744, appartenuto ad Arthur Grumiaux. Quali sono le differenze principali tra questi due strumenti?

Le sonate di Beethoven sono incise con lo Stradivari, che ha un suono più chiaro, più classico e più apollineo: un suono più trasparente. Il Guarneri, invece, ha un suono più adatto a un repertorio romantico: Schumann, Brahms, per esempio; o addirittura la polifonia bachiana. Per Beethoven ho scelto lo Stradivari perché questo strumento si adatta meglio a un repertorio classico. 

Ci parli un po’ di lei: quali sono i suoi interessi, oltre la musica?

Amo tutto ciò che riguarda il pensiero: la musica deve sempre corrispondere a un pensiero, altrimenti sarebbe intrattenimento superficiale ed effimero. Amo la letteratura, quello che hanno espresso i grandi creatori dell’umanità… e non deve passare giorno senza che la mia mente venga arricchita da nuovi stimoli.

In copertina: Uto Ughi
immagini per gentile concessione dell’artista