CAPE D’AGUILAR – Ogni faro ha una storia da raccontare

CAPE D’AGUILAR – Ogni faro ha una storia da raccontare

La zona più a sud di Hong Kong, passate la raffinata Repulse Bay e il caratteristico villaggio di Stanley, è un affascinante susseguirsi di baie, spiagge e natura incontaminata. Recandosi verso Big Wave Bay, meta dei surfisti, c’è una rotonda, dove un cartello stradale che punta a est indica Cape d’Aguilar.

Per anni sono rimasta affascinata dal nome, che mi faceva immaginare un luogo solitario e misterioso, ancor più in quanto area a traffico limitato, accessibile in auto solo ai taxi e agli addetti ai lavori, oppure camminando per 4 chilometri lungo una piacevole strada che costeggia il mare, poco frequentata soprattutto nei giorni feriali.

Ogni volta, però, ho sempre proseguito per Big Wave Bay, inesorabilmente attratta dall’atmosfera del villaggio con i suoi ristorantini tipici, le tavole da surf, la spiaggia dalla sabbia fine e bianca e le lunghe onde.

Del resto, che cosa rappresenta un ‘capo’? Una pronunciata sporgenza della terraferma nel mare, l’estremità di penisole, o di continenti: il limitare. Ci si deve recare al momento giusto.

Il Maggiore-Generale Sir George Charles D’Aguilar, comandante delle truppe britanniche in Cina, fu nominato tenente governatore di Hong Kong dal 1943 al 1948. Per lui fu eretta la bellissima Flagstaff House, all’interno del Parco di Hong Kong, che ora ospita il Museo del Tè. D’Aguilar viene ricordato in due luoghi cittadini che sono l’uno l’antitesi dell’altro: D’Aguilar Street, via centralissima e di passaggio che porta a Lan Kwai Fong (la famosa zona della movida) e il remoto Cape d’Aguilar.

Finalmente un paio di settimane fa, in una domenica calda e soleggiata del mite inverno subtropicale, mi sono decisa a esplorare questo luogo di Hong Kong parzialmente chiuso al traffico.

La curiosa toponomastica della città si caratterizza per l’utilizzo di nomi inglesi, soprattutto di Governatori della ex colonia britannica, o di personaggi noti in epoca coloniale, che vengono però molto spesso tradotti, in cantonese, in qualcosa che non ha nulla a che fare con il personaggio o con l’oggetto in questione, ma che risulta decisamente creativo. Così Cape D’Aguilar, in cantonese, è Hok Tsui, che significa ‘becco di gru’. E, in effetti, l’area è popolata anche da questi volatili.

Oltre a ospitare il faro omonimo, Cape d’Aguilar è una Riserva Marina. Per la sua interessante geologia, questa area ha visto lo sviluppo, dagli anni Novanta in poi, di quello che verrà battezzato Swire Institute of Marine Science (SWIMS), una divisione della Scuola di Scienze Biologiche dell’Università di Hong Kong, non lontana.

Dopo aver percorso la strada panoramica, mi sono recata verso il faro. Questi impianti di segnalazione luminosa, di cui si è spesso parlato in letteratura (basti pensare a Virginia Woolf) e nella storia del cinema (ripenso al film del 2016 La Luce sugli Oceani, tratto dal romanzo di L.M. Stedman), hanno sempre avuto un grande effetto sull’immaginario collettivo.

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Chi vive in un faro? Chi mai vorrebbe passare la propria vita avvistando possibili nemici, facendo da guida a navi avvolte nella nebbia, ascoltando la perenne rabbia del mare, destinato a infrangersi sulla rocca più alta?  

Riprendendo le parole della Sig.ra Ramsey, proprio in Gita al Faro di Virginia Woolf:

Perché a voi piacerebbe star rinchiusi un mese intero per volta, e anche di più in caso di tempo cattivo, su uno scoglio grande quanto un campo da tennis? si chiedeva la signora Ramsay; senza lettere né giornali, e senza veder nessuno; se si aveva famiglia, senza vedere la moglie, senza sapere come stavano i bambini — se erano ammalati, se erano caduti e si erano rotti un braccio o una gamba; vedere le stesse onde che si infrangono monotone settimana dopo settimana, e poi l’arrivo di una tempesta terribile, e le finestre coperte di spruzzi, e uccelli scagliati contro la lampada, e tutto lo scoglio che vacilla, e non poter mettere il naso fuori per paura di essere spazzati via in mare? A voi piacerebbe?

Eppure, anche questa era una nobile professione. Nel caso di Hong Kong, i fari avevano uno scopo ben preciso: si trattava di difendere Victoria Harbour da pirati e invasori. Tuttavia, la priorità emerse solo quando Hong Kong, da semplice barren rock (roccia brulla), come venne definita nel 1841 da Lord Palmerston – Segretario degli Esteri dell’Impero Britannico e figura chiave nella cessione di Hong Kong alla Corona Britannica a conclusione della Prima Guerra dell’Oppio – si trasformò, con l’apertura del Canale di Suez, in un centro marittimo globale.

Da lontano, il faro di Cape d’Aguilar non sembra niente di speciale, anche se il paesaggio circostante ha decisamente il suo fascino: un mare blu infinito dall’orizzonte aperto che a Hong Kong, circondata da isole e isolette, è raro vedere; una barca a vela che si avvicina, la natura che cresce selvaggia, e questa struttura bianca che si staglia, timida, sulla maestosità del roccione che l’accoglie. Il faro, che è il più vecchio di Hong Kong ed è stato dichiarato ‘monumento protetto’, è rimasto operativo dal 1875 al 1896, per poi tornare in funzione con luce automatica dal 1975.

Percorro un breve sentiero e, quando vi arrivo, la calce bianca che riluce e ricopre la struttura in granito, in questo luogo ameno circondato dai profumi della vegetazione marittima, mi ricorda moltissimo il mio amato Mediterraneo. La base della torre e l’ingresso ad arco sono caratterizzati da blocchi di pietra di colore beige. La porta, in ferro battuto, presenta decorazioni geometriche. Sopra all’arco dell’ingresso, spicca il numero 158.

Accanto al faro, incastonate sulla cima del roccione, si trovano delle casette bianche con il tetto rosso: probabilmente residenze del personale che si prende cura della gestione dell’area.

Scendo quindi verso il mare, che bagna i lunghi scogli piatti. Un airone nero emerge tra la grigia roccia levigata e il muschio marino verde fluorescente, prestandosi a vari scatti fotografici. Poco più in là, mi avventuro nella Grotta del Tuono: una stretta fessura tra le rocce che si apre sul mare, che fa capolino dall'altra parte, mandando sbuffi di vapore salato: anche questa è meta di aspiranti fotografi e giovani alla ricerca dello scatto perfetto per Instagram.

Dalla roccia dove mi siedo a contemplare il paesaggio, si scorge una delle due batterie militari risalenti alla Seconda Guerra Mondiale: la Batteria Capo D'Aguilar, costruita nel 1939 ed equipaggiata con due cannoni forniti dalla Royal Navy, con bunker per le munizioni, posti di osservazione e casematte.

Riprendo la strada del ritorno e mi volgo di nuovo verso il faro, pensando ai suoi guardiani. Ricordo di avere letto che l'ultimo guardiano del faro di Hong Kong non risiedeva a Cape d’Aguilar, bensì sull'isola di Waglan, una vera roccia sperduta nel Mar della Cina Meridionale. La lasciò in un freddo giorno di novembre del 1989. Da allora, tutte le luci del territorio furono automatizzate.

Ci si chiede che ruolo possa ancora avere, un faro, in un’epoca di navigazione satellitare, se non quello di ispirare pensieri nostalgici e poetici. In realtà, in caso di emergenza, il faro rimane sempre il primo punto di riferimento per i capitani delle navi.

Per qualche strana coincidenza, parrebbe che tutti i guardiani del faro della ex colonia britannica fossero euroasiatici, tipicamente figli di militari britannici e madri cinesi locali i quali, orgogliosamente, svilupparono specifiche competenze in questo campo. Forse il fatto di non appartenere pienamente né alla cultura occidentale né a quella orientale li faceva sentire in simbiosi con il faro, luce indispensabile a tutti, ma al limitare del territorio e dello spazio temporale.

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E così, mentre lascio Cape d’Aguilar, le sue onde, e il vento insistente che trasporta il profumo di mare altrove, mi sento questa volta proiettata proprio lì, nel blu infinito, cullata tra le onde. E come il protagonista della Ballata del Vecchio Marinaio di Samuel T. Coleridge, mi accingo ad avvistare la terraferma e a pensare se anche questo è, ora, il mio Paese.

Veloce e dolce salpava la nave,
e solo su di me brezza spirava.

Oh! Sogni di gioia! È, ciò che vedo,
la punta del faro? È questo il colle?
Questa la chiesa? Questo il mio paese?

In copertina: il faro
immagini Paola Caronni

Versione inglese dell’articolo qui

 

 

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