WORLD PRESS PHOTO 2025 - Ritratti di un mondo fragile
Non so se ci si possa davvero preparare a una mostra come quella del World Press Photo. Non può essere ammirata con leggerezza, perché è una di quelle che ti restano attaccate addosso. Qui non c’è filtro, solo la realtà: cruda ma necessaria.
Ho visitato l’esposizione della sessantottesima edizione al Palazzo delle Esposizioni di Roma, dove resterà aperta fino all’8 giugno, ma è possibile vederla anche a Londra, fino al prossimo 25 luglio. 144 le fotografie esposte per i 42 progetti selezionati quest’anno – nove in più rispetto a quello precedente – tra oltre 59mila scatti e 3.778 fotografi. Tragedia e speranza si intrecciano in storie che parlano di conflitti, migrazioni, diritti umani e clima.
Dal 1955 l’organizzazione, nata nei Paesi Bassi, premia l’eccellenza nel fotogiornalismo, riconoscendolo come uno strumento essenziale per comprendere il mondo e sottolineando l’importanza della libertà di stampa. Sfide e resistenza vengono raccontate con una forza visiva che scuote le coscienze. Senza una stampa libera, nessuna di queste storie potrebbe essere vista né conosciuta.
Non è un caso che ad aprire la mostra sia la mappa elaborata ogni anno da Reporter Senza Frontiere (RSF), l’organizzazione internazionale senza scopo di lucro che monitora lo stato della libertà di stampa nel mondo. Nel 2025, per la prima volta, la libertà di stampa è risultata “difficile” o “molto grave” in oltre la metà dei Paesi, mentre meno di uno su quattro presenta condizioni “soddisfacenti”. Da un decennio si registra un costante peggioramento. L’Italia, ad esempio, si colloca al 49° posto, perdendo tre posizioni rispetto al 2024.
Il grido di Gaza nella foto vincitrice
Per il secondo anno consecutivo, a vincere il World Press Photo è un’immagine che racconta il dolore di Gaza. Dopo lo scatto del 2023 di Mohammed Salem — una donna che abbraccia il corpo senza vita del nipote nell’obitorio dell’ospedale Nasser — il prestigioso riconoscimento è andato quest’anno alla fotografa Samar Abu Elouf. Prima palestinese e sesta donna nella storia del concorso a essere premiata, ha realizzato per il New York Times un ritratto di straordinaria potenza: Mahmoud Ajjour, Aged Nine. Il protagonista è un bambino di nove anni che ha perso entrambe le braccia mentre cercava di mettersi in salvo durante un attacco israeliano. Uno scatto di impatto visivo e simbolico eccezionale, che trascende il dolore individuale per raccontare una tragedia collettiva. Secondo l’UNRWA (Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l'occupazione), a dicembre 2024 Gaza registrava il più alto numero pro capite di bambini amputati al mondo.
Dall’Amazzonia al confine tra Messico e Stati Uniti
Accanto all’immagine di Mahmoud Ajjour, anche le due foto finaliste raccontano storie di resistenza. In Droughts in the Amazon, il fotografo messicano Musuk Nolte ritrae un ragazzo che porta da mangiare alla madre nel villaggio di Manacapuru — oggi raggiungibile solo a piedi — camminando sul letto ormai arido di un fiume. L’immagine documenta non solo la crisi ambientale che sta trasformando l’Amazzonia ma anche le profonde ripercussioni sulla vita quotidiana delle comunità locali.
Con Night Crossing, invece, John Moore — già vincitore del Pulitzer e di un precedente World Press Photo of the Year — coglie un momento di profonda umanità e vulnerabilità: un gruppo di migranti cinesi si riscalda attorno a un fuoco, appena oltrepassato il confine tra Messico e Stati Uniti. Uno scatto silenzioso, che racconta la fragilità e la speranza di chi affronta viaggi estremi alla ricerca di una nuova possibilità.
Geografie del dolore e della resistenza
Attraversare le quattro sale della World Press Photo è come muoversi in un itinerario visivo che mette a nudo ciò che spesso resta ai margini: le conseguenze più profonde e più taciute dell’ingiustizia sociale.
In ogni corridoio, le immagini restituiscono la misura di quanto accade nel mondo. Corpi femminili che diventano la testimonianza vivente di come i conflitti colpiscano aspramente i più vulnerabili, tra violenze sessuali, figli strappati ed espianto di organi. Ad emergere con forza è il fotoreportage Women’s Bodies as Battlefields di Cinzia Canneri, unica italiana premiata quest’anno, che ci guida tra Etiopia, Eritrea e la regione del Tigrè (nel nord dell’Etiopia) con una narrazione dura ma necessaria.
E poi ci sono i bambini feriti, mutilati e abusati che in Ucraina, Medio Oriente, Africa e Asia portano addosso cicatrici di guerre troppo grandi per le loro mani. Le loro immagini non urlano, ma restano. E ci chiedono di non distogliere lo sguardo.
Accanto agli esseri umani, anche gli animali raccontano le sfide del nostro tempo: elefanti in Zambia, pesci in Congo, macachi in Thailandia. Creature trascinate nel crollo degli ecosistemi tra siccità, malattie e perdita di habitat.
Orizzonti possibili
Alla fine del percorso, quasi a bilanciare la fatica del viaggio, c’è l’immagine scattata da Jerome Brouillet del surfista brasiliano Gabriel Medina durante i giochi olimpici 2024 (in copertina, ndr). Un attimo sospeso in cui l’uomo e la natura sembrano trovare un’armonia rara. Non è una distrazione. È un promemoria: esistono ancora la bellezza, la forza, la possibilità di cambiare rotta, se lo vogliamo.
Uscendo, ho riflettuto sulla forza dirompente del fotogiornalismo. In un’epoca dominata dalla velocità e dalla superficialità, queste fotografie chiedono tempo, attenzione. Ogni scatto esposto non è soltanto una testimonianza, ma un invito a essere presenti, a prenderci la responsabilità di guardare, di non distogliere lo sguardo, di sentire anche ciò che è scomodo, doloroso, ingiusto.
In fondo, queste immagini ci chiedono di riconoscerci nelle storie degli altri, anche quando provengono da mondi che ci sembrano lontani. Eppure, ci riguardano più di quanto immaginiamo. Perché guardare davvero è un atto etico e, oggi più che mai, abbiamo bisogno di uno sguardo che non si limiti a vedere, ma che scelga di restare.
CREDITI FOTOGRAFICI
In copertina: Gabriel Medina, Giochi Olimpici 2024 © Jerome Brouillet
Foto vincitrice: Mahmoud Ajjour, Aged Nine © Samar Abu Elouf
Finaliste: Droughts in the Amazon © Musuk Nolte; Night Crossing © John Moore
Geografie del dolore: Women’s Bodies as Battlefields © Cinzia Canneri
In fondo all’articolo: Aircraft on Flooded Tarmac © Anselmo Cunha
Immagini per gentile concessione del World Press Photo