LETTURE MARINE - Storie di abissi, sirene e voci femminili
Da sempre, il mio elemento è l’acqua. Ne sono attratta, richiamata, cullata. Il mio posto nel mondo, se devo immaginarlo, è galleggiare al largo – con le mani e le gambe a stella – per mettere in fila i pensieri. Nata e cresciuta in un paesino dove la salsedine ti resta addosso tra i capelli, sulle magliette, e ti pizzica il naso, mi pare davvero difficile credere che il mare sia un pericolo, anche se mi ci immergo con reverenza: so che non siamo amici, so che mi fa stare bene.
In questi ultimi mesi mi è pesato non fiancheggiare la costa, non poter passeggiare sui ciottoli smussati dalle onde che instancabili battono sulla riva. E come sempre quando mi è fisicamente impossibile raggiungere un luogo, ci torno attraverso i libri. Ecco le mie ultime letture: acquatiche, coinvolgenti, memorabili.
Sirene, Emilia Hart
Lucy è un’aspirante giornalista australiana tormentata da ricorrenti incubi e dalla paura per l’acqua. Quando arriva a Comber Bay dalla sorella Jess, questa è scomparsa, lasciandosi dietro i suoi dipinti. Lucy scopre, osservandoli, che anche Jess sogna le stesse ragazze che tornano sempre più spesso nei suoi incubi: Mary ed Eliza, adolescenti in esilio verso il Nuovo Galles del Sud. Lucy, preoccupata per l’assenza della sorella e sorpresa da quel legame onirico, decide di affrontare i suoi sogni: il nemico è davvero l’acqua, il mare?
Il secondo romanzo di Emilia Hart ricalca il suo esordio, Weyward: torna il ruolo centrale dell’energia femminile, un’energia che scopre, stravolge, costruisce, guida. Torna l’elemento fantastico, in questo caso le creature metà donna metà pesce: temute dagli uomini e per questo scacciate, giudicate, combattute. Torna la lotta per affermarsi, da donne, nonostante secoli di condizionamento in una società adattata prettamente al maschile. Sono questi i veri temi, al di là del fantastico, che riecheggiano in maniera totalizzante nelle opere di Hart. In questo caso particolare, poi, l’acqua è protagonista. Il mare ha un’energia esplosiva e femminile: può ferire o curare, provocare naufragi o cullare. È tuttavia un’energia da scoprire, a cui approcciarsi senza paura, e che necessita fiducia e scoperta. Il mare è anche vendetta, in questa storia. Vendetta o giustizia, a seconda delle sensibilità: è feroce ruggito, dolce ninna nanna. La scrittura, come la trama, spesso scivola in elementi, metafore, espedienti che ricalcano il primo romanzo: sarà intenzionale? La somiglianza è troppa perché l’autrice non la noti; ma l’inedito, la forza dell’elemento acquatico-fantastico, convince. È stato come fare un bagno fresco dopo un’afosa giornata d’agosto.
La ragazza che annega, Caitlín R. Kiernan
India Morgan Phelp, Imp per tutti, esordisce sulle pagine chiarendo che la pazzia, così la definisce, è parte di un’eredità lasciata da sua madre e da sua nonna prima di lei, insieme a un piccolo fondo per le emergenze. Imp decide di scrivere un memoriale perché ci sono dei fantasmi (o dei ricordi?) che non la lasciano in pace: si spoglia così agli occhi del lettore che altra scelta non ha se non lanciarsi nel vorticoso resoconto della protagonista e scoprire gli ultimi anni di Imp, profondamente legati al fantasma (o alla sirena?) Eva Canning.
Pubblicato per la prima volta nel 2012 e diffuso in Italia solo lo scorso febbraio dall’editrice Mercurio, questo romanzo è brutale e fragile, commovente come la voce di Imp. Nonostante i narratori inaffidabili siano per me un ostacolo nel portare a termine una lettura, anche io, come la protagonista, ho sentito il richiamo dell’abisso, riuscendo a trovare un legame con lei che mi facesse continuare. La figura spettrale e acquatica di Eva Canning, nuda, eterea e bagnata ha un ruolo focale: non è importante capire se sia reale – per Imp lo è – ma notare il suo legame con l’abisso, metafora (o specchio) di un abisso che richiama Imp durante i suoi momenti di follia. Anche in questo romanzo il mare è femminile, l’abisso è femminile; Eva Canning è una sirena sensuale e brutale: porta Imp allo stremo, ma lo fa cullandola col suo canto. Il femminile soppianta il maschile non come modello alternativo, ma come unico possibile in questo febbrile racconto di rabbia, amore, follia, salsedine, abisso, fiducia. Il vero senso della lettura non è destreggiarsi tra il fattuale e l’immaginato (l’ho capito alla fine) ma fermarsi sul bordo della riva, fidarsi anche dei giorni di burrasca, respirare a pieni polmoni la salsedine e dirsi che anche questo è il mare, non può esserci sempre il sole.
L’ultima sirena, Iida Turpeinen
Abbandonando il fantastico o l’immaginato, sono stata piacevolmente smentita da questo romanzo che credevo parlasse, ancora, di una sirena. Protagonista è invece una creatura reale, anche se non più appartenente al mondo come lo conosciamo oggi. Iida Turpeinen traghetta il lettore verso una storia acquatica e autentica, il cui incipit si legge nel mare ghiacciato tra la Siberia e l’Alaska, nel 1741; l’epilogo, invece, è al museo di storia naturale di Helsinki, nel 2023. Le varie tappe temporali (1741, 1859, 1861, 1950 e 2023) restituiscono la storia – dalla vita in mare alla conservazione nella penombra dei musei – della ritina di Steller, mammifero acquatico della famiglia dei Sirenii.
Il mare di Turpeinen non è metaforico né un personaggio, è un habitat: tema portante di questo romanzo accurato, tenue, essenziale è lo scontro tra Natura e Uomo, tra l’entusiasmo della scoperta e l’avidità della conquista, che sono forse solo due facce della stessa medaglia.
Il mare è casa per i Sirenii del mar dell’Alaska ed è incubo per i marinai, guidati dal generale Bering, che si trovano prigionieri di quel luogo inospitale. Eppure lo conquistano, lo razziano, ne deturpano le coste. Ma, lo ripeto, questa non è una storia di uomini, è la storia del più grande mammifero mai esistito (escludendo i cetacei) estinto – a causa dell’uomo – a trent’anni circa dalla scoperta.
È un mare trafitto, quello di questo romanzo, un mare maltrattato, come una spiaggia sovraffollata, un relitto che inquina le acque, un esemplare ferito sulla spiaggia che attira curiosi. È un mare che mette in discussione il ruolo che gli uomini hanno nel mondo, contesta l’arroganza di credere che tutte le storie siano, in fondo, storie di uomini.
L’esordio della scrittrice finlandese è vivida traccia di un equilibrio tra abilità letteraria e competenza storica e naturalistica. Leggere la sua prosa è un tuffo in mare aperto, euforia e terrore di scoprire il nuovo, e resa all’indomabile distesa che circonda il globo.