LETTURE FRAGILI - Benedetta rabbia
Ho sempre pensato che la rabbia ci avrebbe salvati, ci avrebbe salvate. Ho sempre creduto che ci fosse qualcosa di salvifico nell’abbandonarsi alla collera: mi sbagliavo. La vera salvezza è stata trovare compagni, compagne, in quell’emozione così aspra e secca. Sentirmi furiosa e sentire che vivevo un’esperienza condivisa è stato il modo più autentico di percepirmi parte di qualcosa, come solo con pochi altri sentimenti sarebbe potuto succedere.
Per anni ho anche coltivato l’ingenua idea che questo stato d’animo lucido ed estenuante non avesse genere: mi sbagliavo di nuovo. C’è uno sdegno femminile, intrinseco in molti racconti che si tramandano da ere e luoghi del mondo lontanissimi tra loro. Non è bello, ho scoperto: eppure, sentirmi partecipe di quello stesso, scottante dolore mi fa ancora, sempre, sentire viva.
Incendiandomi, sento sorelle molte anime come la mia eppure così diverse; mi dico che il mondo è di tutte e che ci copriamo le spalle a vicenda perché noi, noi sì, possiamo capirci: se una lo racconta, lo racconta con la voce di tutte.
Di cosa voglio parlare, dunque? Forse di rabbia, ma anche di come, aderirvi con estrema facilità, mi faccia tirare un sospiro di sollievo. A proposito, ho letto due titoli dolorosi e potenti.
L’età fragile, Donatella Di Pietrantonio
Arrivo tardi. Di questo romanzo si è parlato molto lo scorso anno, quando vinceva il Premio Strega confermando l’eccezionale dote della scrittrice abruzzese; ma non ho fretta, ho imparato ad ascoltare i miei umori e aspettare il momento più adatto per leggere un romanzo, che in questo caso si è rivelato essere il maggio molto caotico appena trascorso. Mi sono, allora, immersa nella storia di Lucia, occhio e voce del romanzo, che vede sua figlia Amanda tornare nel paese natale in Abruzzo dopo aver vissuto a Milano, appena in tempo prima che l’intero Paese si blocchi a causa della pandemia Covid. Amanda è distante, come disconnessa, disinnestata. Attraverso l’età fragile della figlia, Lucia tornerà indietro a quando anche lei e l’amica Doralice avevano più o meno gli stessi anni di Amanda ed erano indifese, acerbe, inermi: quando tutto doveva ancora succedere.
La natura di Di Pietrantonio è feroce e sorprendente, selvaggia e incontaminata: è per Amanda luogo di rinascita, per Lucia e Doralice luogo di perdita. Non è la sola differenza tra madre e figlia, ma leggere anche in quest’ottica la distanza che le separa mi ha fatto riflettere su quanto lo stesso luogo possa essere profondamente diverso a seconda degli occhi che lo guardano; ma anche di quante cose i luoghi raccontino, a seconda di quanto siamo disposti a tendere le orecchie, aprire il cuore. È un nodo in gola, una carezza livida la scrittura dell’autrice, che mostra il bello e il terribile, nasconde la luce in un punto ben chiuso: aprirlo è dolore. È una frustrazione, un continuo esercizio di apnea scoprire quello che si intuisce, che si annusa già dalle prime pagine. Nel non detto, ho trovato la via per sentirmi parte di un urlo feroce e sommesso.
La notte fa ancora paura, Fosca Navarra
Sette anime femminili si susseguono nell’esordio alla narrativa di Fosca Navarra: dalla micia Anita che abita a Milano nel secondo Ottocento fino a Carmen, ragazza napoletana che, negli anni Sessanta, cerca di leggersi attraverso un mondo che scorre veloce; l’autrice cuce un filo tra sette vite costrette, intrappolate, che lottano, lottano, lottano e si infuriano e mi hanno più volte imposto di infuriarmi anche io e sperare, ogni volta, in un epilogo diverso.
Mi soffermerò su una storia in particolare, quella di Lian, perché più delle altre mi ha fatto sentire sconvolta e grata. Lian è una giovane contadina impegnata nelle risaie cinesi, lavora instancabilmente e non vorrebbe mai, per nessuna ragione al mondo, immaginarsi ad essere qualcosa di diverso; ma la sua libertà si scontra col desiderio dell’uomo più potente che le si può presentare davanti, il padrone delle terre nelle quali lavora. Lui la desidera, la pretende, impone che le si fascino i piedi. Lian obbedisce perché suo padre le chiede di obbedire. È consapevole che significa per lei perdere un pezzo di sé, la sua libertà, la possibilità di muoversi; eppure, lo fa perché è nata per adeguarsi. Questa storia così ingiusta, dolorosa, attuale ha toccato dei punti che ho scoperto estremamente sensibili in me; ho guardato a lungo i miei piedi, scoprendomi felice di poterli direzionare verso orizzonti e sfide che scelgo da sola ogni giorno.
Con le sue sette vite, dipinte a tinte forti e odorose, Fosca Navarra fa sbocciare dalle pagine animi tumultuosi, dalle storie commoventi e autentiche. Quando ho chiuso il libro mi sono detta riconoscente perché posso ancora commuovermi: anche la rabbia è un privilegio, se puoi sceglierla.
Mi chiedo solo per quanto ancora, per quante ancora, ci toccherà provarla, questa benedetta rabbia.