FAVIGNANA - L’isola che riporta all’essenziale
Non l’avevo pianificato, né messo in agenda. Il mio viaggio a Favignana, nell’arcipelago delle Egadi, è arrivato all’improvviso, come una parentesi luminosa in un inverno grigio del Nord. Un’attrazione istintiva, un richiamo a cui non ho saputo resistere. La voglia di conoscere questo piccolo paradiso – e, forse, di lavorarci – ha vinto su ogni logica. Pochi mesi dopo ero lì, al porto, inconsapevole che quella terra mi avrebbe segnato nel profondo.
Favignana non si conquista: si accetta. Non è un luogo da attraversare di corsa ma da ascoltare, da osservare, da rispettare. Qui è la natura a decidere. Sceglie lei cosa puoi mangiare: pesce, ortaggi, frutti della terra. Ti offre solo ciò che c’è davvero, senza artifici. Nei supermercati gli scaffali a volte sono vuoti e, quando chiedi spiegazioni, la risposta è sempre la stessa: “Nell’Isola funziona così.”
È una verità semplice, potente. Nessuno si oppone. L’uomo qui non è al centro ma parte di un tutto più grande. Dopo il tramonto, non ci sono lampioni. Solo stelle. Un cielo così buio può far paura ma è anche poesia allo stato puro. La notte porta silenzio e il silenzio amplifica i pensieri, il respiro, la presenza.
Il cibo ha un altro ritmo. I piatti nascono da gesti antichi, tramandati più con le mani che con le parole. Tutto è lento, autentico. E proprio le mani sono protagoniste. Mani che pescano, impastano, raccolgono, curano. Mani segnate dalla terra e dal mare. Mani vive. È normale incrociare pescatori con le mani ancora sporche di sangue del pescato. Non c’è vergogna: c’è orgoglio. Quello sporco diventa simbolo di valore, di identità.
Il passato, qui, non viene dimenticato. Vive nei luoghi, nelle persone, nei racconti. Come nella Tonnara di Favignana, nel centro dell’isola. Un tempo era lo Stabilimento Florio, oggi è un museo. Non un museo qualsiasi ma uno spazio che pulsa ancora, che racconta con immagini, suoni e reperti la storia delle mattanze: le antiche, drammatiche battute di pesca ai tonni. È anche un luogo in cui la cultura continua a nascere, nel dialogo tra passato e futuro, tra Mediterraneo e modernità.
Le donne, nel frattempo, custodiscono saperi domestici. Si prendono cura degli altri – figli, parenti, clienti, turisti – con una dolcezza concreta. Sono esperte nell'incocciare il cous cous, nel raccogliere finocchietto tra gli scogli, nel modellare arancini perfetti. Non c’è scuola: sono tradizioni orali, tramandate di madre in figlia, attraverso gli occhi e le mani.
E poi, i vini. Ho avuto la fortuna di conoscere il mondo enogastronomico siciliano. I loro vini raccontano la terra da cui provengono: salini, freschi, intensi. Un piccolo sorso ti porta al mare. O meglio, a ‘Mare, come dicono qui.
A Favignana, nulla è casuale. I nomi delle spiagge, dei prodotti, delle persone sembrano legati a ciò che realmente sono. La spiaggia del Bue Marino, ad esempio, prende il nome dagli imponenti scogli che, da una certa angolazione, ricordano il profilo di un bue.
I gatti sono di tutti, e nessuno è di qualcuno. È normale dare da mangiare a qualunque animale abbia fame. Il suono che accompagna la giornata è lo stesso per tutti: lo sciabordio dell’acqua contro gli scogli.
La mattina ci si saluta sempre. Il meteo è imprevedibile: comanda lo Scirocco o il Grecale. Decide il vento. Camminare scalzi è usuale. La connessione Internet è incostante ma nessuno si lamenta. Al massimo ti diranno, ancora una volta: “Nell’Isola funziona così.”
E così, ritorni all’essenziale.
Video di Vincenzo Ceraso
L’isola ha la forma di una farfalla. Qui non esistono musi lunghi, arrabbiature, né giubbotti pesanti. Si vive leggeri. Favignana non ti saluta, ti resta addosso. Non è un luogo da spuntare su una mappa ma un ritmo da imparare. Ti insegna che la lentezza è una forma di rispetto. Che la scarsità non è mancanza, ma equilibrio. Che si può essere pieni anche quando non si possiede nulla. Quando te ne vai, non chiudi una parentesi. Ne apri una nuova: quella in cui, ovunque tu sia, cerchi ancora il suono del mare contro gli scogli, il vento sulla pelle, il cielo senza lampioni. E in quei momenti ti accorgi che l’isola è con te.
Quando ho lasciato Favignana non ho provato nostalgia ma una strana lucidità. Come se il silenzio di quei giorni, il sale sulla pelle, il tempo che scorreva piano, avessero fatto spazio a qualcosa di nuovo. Favignana non è un’isola da raccontare in cartolina: è un’esperienza da portare nel quotidiano. Nei gesti semplici, nel sapore del cibo cucinato lentamente, nella capacità di ascoltare la natura e non forzarla.
Se c’è una lezione che quest’isola mi ha lasciato, è che la bellezza vera non ha bisogno di rumore. E che ogni tanto, per ritrovarsi, basta lasciarsi trasportare dal lieve battito d'ali di una farfalla nel cuore del Mediterraneo.
In copertina: Favignana © Gianni Ciu
Galleria:
Porto, Tonnara, Tonno Florio © Daniele Colombo
Video:
Favignana 4K © Vincenzo Ceraso