LA MIA BERGAMO - Un incantesimo tranquillo e pacificatore

LA MIA BERGAMO - Un incantesimo tranquillo e pacificatore

A cura di S.E. Aldo Amati, Ambasciatore d’Italia in Repubblica Ceca

“Terra ampia, sublime e profonda... la fama tua pur si rischiara”. Così Torquato Tasso su Bergamo, ma innumerevoli sono i cantori illustri della città, tra cui Stendhal, Foscolo, D’Annunzio. Ma anche Lotto, Donizetti, Colleoni, Palma il Vecchio, Manzù, sono tutti emanazione di Bergamo e delle sue virtù artistiche, che si assommano a una imprenditorialità diffusa, a uno spirito concreto e testardo, a una grande generosità poco esibita. E mai alcune pulsioni di chiusura, al limite della xenofobia, provenienti dalle valli che la circondano, l’hanno contaminata. Al contrario, è dalla città che sono partiti impulsi all’apertura rispetto al diverso, alla solidarietà, all’aiuto volontaristico.

La città dall’alto si erge con le sue mura inconfondibili, offrendo panorami sul vasto orizzonte sottostante che la traghettano verso la pianura e verso la metropoli milanese. Proprio queste mura sono parte della “mia” Bergamo, del mio lessico familiare, della mia educazione, che mi ha portato a frequentarle per quasi dieci anni: quelli del mio liceo e del primo “viaggio” universitario.

Panorama di Bergamo all'imbrunire

Panorama di Bergamo all'imbrunire

Del resto, quante volte mi è stata rivolta la stessa domanda: “Ma sei di Bergamo Bassa o Bergamo Alta?”, spesso cercando di pronunciare le parole in bergamasco, facendomi sorridere per lo storpiamento di un dialetto così disprezzato per la sua impervia comprensibilità, ma così ricco di influenze straniere e di arguta saggezza secolare.

Nei miei anni giovanili ho vissuto equamente le due realtà urbane. La Città Alta è come una vecchia signora dal lignaggio impeccabile, di una bellezza evidente, in qualche misura sfiorita, ma sempre seducente. All’interno delle mura, che hanno anche recentemente trovato nuova dignità entrando nel Patrimonio dell’UNESCO, si ammassano gioielli dell’arte veneta, vicoli ricchi di fascino e di artigianato locale, aperture su panorami mozzafiato. “Piazza Vecchia” e la sua Biblioteca, il liceo classico Paolo Sarpi (e la disciplina dei suoi insegnanti), le colline incastonate di ville della ricca borghesia che circondano quei luoghi: sono queste le tracce dove si è formata una parte importante del mio “sentire” bergamasco.

Epoche e stili differenti, allo stesso tempo tanto complementari quanto contrastanti, si fondono nella sintesi straordinaria di Bergamo Alta, che appare a chi si avvicina un incantesimo tranquillo e pacificatore. Ma dietro a tutto ciò si avvertono secoli di storia, il conflitto tra Milano e Venezia, gli interventi architettonici quattrocenteschi e cinquecenteschi dei podestà veneziani che lasciano senza fiato.

Bergamo Alta sembra guardare con superiorità in basso alla Città nuova che è a sua volta sinonimo di concretezza, di spirito imprenditoriale, di quella ostinata abnegazione produttiva e industriale che l’ha portata a godere di un’opulenza borghese da sempre invidiabile, messa a dura prova forse soltanto dalla crisi recente. E proprio da questo “humus” pervaso anche di divertimento e di godimento della vita, ho assorbito la capacità di rimettermi in gioco, di apprezzare quanto mi è stato dato, di perseguire ostinatamente il sogno di girare il mondo alla ricerca di interlocutori e stimoli sempre nuovi. Se dovessi trasfigurare la mia Bergamo in un animale, non potrei che accostarla ad un’aquila che dalle guglie del Duomo, del Palazzo della Ragione, dalle mura veneziane che rappresentano il suo imprescindibile retroterra, si alza in volo verso l’ignoto, il diverso, con una capacità di cogliere opportunità senza eguali.

Dopo quasi trent’anni di “peregrinare” estero e di soggiorni romani, il periodico rientrare a Bergamo mi ha messo di fronte a una città multiculturale profondamente rinnovata dall’innesto di etnie diverse che, malgrado alcuni contrasti, rappresentano il futuro della città. Questa “promiscuità” evidente mi sembra riecheggiare in qualche modo l’essenza dell’essere bergamasco e, cioè, la capacità nel corso dei secoli di essere pronti a ricostruire con tenacia e senza troppo rumore ciò che non esiste più. In questo caso, dobbiamo farlo con grande apertura mentale con un nuovo “materiale umano” capace di integrarsi, con la consueta, imprescindibile ostinazione. Bergamo come un riuscito “melting pot” più forte e vitale? È la sfida da vincere.

(Articolo pubblicato sul Volume 8 di CIAOPRAGA)

 

 

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