ASPETTANDO GODOT - Temi profondi in parole e dialoghi senza alcun senso apparente

ASPETTANDO GODOT - Temi profondi in parole e dialoghi senza alcun senso apparente

Un’eterna attesa. A questo, spesso, si può ricondurre l’esistenza di un essere umano. E tale concetto è espresso in maniera magistrale in Aspettando Godot.

Indubbiamente l’opera più famosa del drammaturgo irlandese Samuel Beckett, il dramma venne scritto durante gli anni Quaranta e pubblicato in francese nel 1952. Venne poi tradotto in inglese, dall’autore stesso, nel 1954.

L’opera non presenta una vera e propria trama e, per questo, si può associare al cosiddetto “teatro dell’assurdo”.

In generale, tratta di due personaggi la cui relazione può avere diverse chiavi di lettura: Vladimiro ed Estragone.

Per tutta la durata dell’opera i due – probabilmente dei senzatetto – attendono Godot, un personaggio la cui vera natura non è ben definita. Lo stesso Samuel Beckett affermò che se avesse saputo chi era Godot lo avrebbe descritto. Ciò ci fa intuire la volontà dell’autore di far rimanere questa figura ambigua e aperta a diverse interpretazioni.

C’è chi crede che Godot possa essere Dio, un padrone o, addirittura, l’occasione di una vita. Quest’ultima interpretazione è forse la più attendibile. Infatti, i due protagonisti sul palco intrattengono delle conversazioni dal contenuto effimero e insensato e che risultano quasi noiose allo spettatore.

Questo serve, probabilmente, all’autore a rappresentare la monotonia della vita. Infatti, i due non hanno un rapporto di particolare amicizia, bensì un rapporto basato sull’attesa di quest’entità che sperano cambi la loro miserabile esistenza.

Dei due si sa ben poco, come di Godot d’altronde. Si sa, però, che si conoscono da quando ne hanno memoria ed è da quando hanno memoria che aspettano.

Quest’attesa fa sì che nell’opera non vengano definiti né lo spazio né il tempo. Ecco, quindi, che ci ritroviamo davanti a uno spettacolo ambientato nel nulla, con protagonisti due sconosciuti che non sanno cosa accadrà loro.

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L’ignoto è, pertanto, il tema principale del dramma e ci viene riproposto con l’apparizione di due personaggi: Pozzo e Lucky. Il primo è padrone del secondo. Pozzo rappresenta allegoricamente la classe dirigente della nostra società, che tiene letteralmente al guinzaglio il proletariato: Lucky.

Lucky, infatti, è legato al collo da una corda ed è costretto a portare le pesanti valigie del suo padrone prepotente, che lo tratta come fosse un animale (durante tutta l’opera non viene mai chiamato con il suo nome, bensì cane o bestia o maiale. Anche i nomi di Vladimiro ed Estragone compaiono solo nel copione: durante l’opera i due si chiamano con i soprannomi Didi e Gogo).

A Lucky è stato, inoltre, proibito di parlare poiché quando parla dice tutto quello che pensa, senza filtro né pausa; senza neanche poter prendere aria. È proprio per questa sua caratteristica che gli viene permesso di parlare solo quando glielo dice il padrone e, l’unico modo di fermarlo, è levargli il cappello.

Appena i due protagonisti incontrano Pozzo e Lucky sperano che uno dei due sia Godot e rimangono delusi dal fatto che non lo siano.

Dopo essersi fatti spiegare da Pozzo come mai Lucky non parli gli chiedono di poter osservare questo strano fenomeno.

Il monologo di Lucky, appena gli viene tolto il cappello, è commovente. Questi, nonostante non dica cose di senso compiuto, segue un ritmo che aumenta sempre di più il pathos della scena e, nonostante non venga esplicitato dalle parole, si capisce dal tono e dalla drammaticità della scena che il monologo è un urlo di condanna alla società moderna.

Reputo che sia esattamente questa la forza di quest’opera: riuscire a trasmettere temi profondi attraverso parole e dialoghi senza nessun senso apparente. La rappresentazione non fallirà nello strappare una risata allo spettatore, ma nemmeno nel non farlo riflettere su temi importanti come la grande attesa che caratterizza ognuna delle nostre vite o la struttura della società moderna.

È un’opera che ha raggiunto la sua grande fama per essere allo stesso tempo travolgente e delicata: senza dubbio, una delle migliori del XX secolo.

In copertina: dettaglio locandina Esperando a Godot
(Teatro UCSC, regia Julio Muñoz)

 

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