LA PINACOTECA DI BRERA – Arte e storia al centro di Milano

LA PINACOTECA DI BRERA – Arte e storia al centro di Milano

“Il lavoro del pittore non finisce col suo quadro: finisce negli occhi di chi lo guarda”. Una frase del pittore Alberto Sughi che racchiude il senso di quest’arte tanto bella e tanto antica: la pittura.

Il panorama italiano vanta un enorme patrimonio culturale di questo tipo: artisti che hanno fatto la storia, i cui capolavori sono gelosamente custoditi all’interno dei musei delle nostre città.

Nel cuore di Milano troviamo la Pinacoteca di Brera, galleria nazionale di arte antica e moderna, aperta al pubblico dal 1809.

Il palazzo che accoglie la mostra permanente ha assunto, nel corso dei secoli, diverse funzioni. Durante il tardo Medioevo fu sede del convento di un’associazione religiosa, l’Ordine degli Umiliati, fino alla soppressione della stessa, avvenuta nel 1571. 

Successivamente, la struttura passò nelle mani dei Gesuiti, che ne fecero un collegio. All’ingresso della Pinacoteca è ancora oggi presente il grande orologio che, tramite il suono delle campane, regolava l'entrata e l'uscita degli studenti e scandiva l’orario delle lezioni.

Abolita la Compagnia di Gesù nel 1773, l’edificio andò al governo austriaco e divenne Palazzo Reale sotto Maria Teresa d’Austria, la quale vi istituì le Scuole Palatine, fece allestire una biblioteca, ordinò l’ampliamento dell'Orto Botanico e fondò l'Accademia di Belle Arti di Brera.

Tuttavia, fu solo durante il periodo napoleonico che, all’interno dell’edificio, venne costruita anche una pinacoteca, allo scopo di ospitare le opere e i dipinti provenienti da chiese e monasteri soppressi.

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Quella stessa Pinacoteca è diventata, oggi, uno spazio di circa tremila metri quadrati di superficie, contenente quasi quaranta sale e più di seicento opere esposte.

Qui trovano spazio artisti di fama mondiale del calibro di Caravaggio, Tintoretto, Modigliani, Lega, Bellini, Mantegna e molti altri.

Durante la mia ultima visita, il mio itinerario esplorativo è partito da opere di autori meno conosciuti di quelli sopra citati ma, a mio parere, altrettanto meritevoli, come ad esempio Gerolamo Induno.

Pittore storico e interprete ufficiale dell’epopea risorgimentale, frequenta l’Accademia di Brera dal 1839 al 1846, sotto la guida di Luigi Sabatelli. Si caratterizza per una pittura briosa, narrativa, luminosa e facile da interpretare.

Il Grande Sacrificio

Il Grande Sacrificio

Tra i suoi dipinti più interessati Il Grande sacrificio (Partenza del garibaldino), pervenuto alla Pinacoteca nel 1860. Qui, un’anziana madre stringe il proprio figlio che sta per prendere parte ad una spedizione. La stanza spoglia mostra un contesto piuttosto misero; molti dei volontari che partivano per le guerre di indipendenza, infatti, erano di bassa estrazione sociale.

Un'altra tela, sempre ad opera di Induno, è Triste presentimento, del 1862. Rappresenta una giovane donna che, seduta sul letto disfatto, stringe tra le mani un medaglione raffigurante, presumibilmente, l’amante partito in guerra.

La stanza, illuminata dalla calda luce del mattino, è piena di oggetti tra cui il piccolo busto di Giuseppe Garibaldi, ad indicare il periodo risorgimentale in cui è stata riprodotta la scena. Anche i simbolismi abbondano: i colori dei vestiti appoggiati distrattamente sulla sedia rimandano al tricolore della bandiera italiana, evidente richiamo patriottico.

Triste Presentimento

Triste Presentimento

Un’altra opera interessante presente nella collezione di Brera, anch’essa raffigurante il tema della guerra e del distacco, è Il bacio, dipinto realizzato da Francesco Hayez nel 1859 e vera e propria icona del risorgimento italiano (in copertina).

Considerato uno dei maggiori esponenti del romanticismo storico, Hayez frequenta la bottega di Francesco Magiotto e in seguito, tra il 1803 e il 1806, l’Accademia di Belle Arti di Venezia. A 18 anni si trasferisce a Roma, sotto l’ala protettrice dello scultore Antonio Canova. Nei suoi dipinti, raffigura il concetto di patria e libertà attraverso soggetti che appartengono a un passato epico e lontano.

Il bacio raffigura due giovani nell’androne di un castello medievale, in quella che sembra una scena d’addio. Lui indossa un manto e ha il piede poggiato sul gradino, come fosse in procinto di andare (probabilmente a combattere, come si intuisce dall’arma che si intravede sul suo fianco sinistro, simile ad un pugnale); lei stringe con forza le spalle dell'amato, quasi per trattenerlo a sé e impedirgli di partire. Il capolavoro, con i due innamorati e l’intima scena che si consuma in un passato cavalleresco, è considerato l’immagine-simbolo del Romanticismo che si declina, poi, in amore nazionalista.  La coppia che si abbraccia, infatti, è una chiara personificazione dell’Italia unita.

Tutte e tre le opere, con la loro forza espressiva, mi hanno regalato forti emozioni: ho percepito la malinconica di chi aspetta, il dolore di chi sta per lasciarsi e la tristezza della separazione dal proprio figlio. Tuttavia, pur ritraendo scene malinconiche, i dipinti mi hanno trasmesso il messaggio positivo dell’amore dentro la guerra.

La Pinacoteca di Brera si distingue anche per una ricchissima collezione di quadri a carattere religioso. Tra questi, la Pietà del grande maestro Giovanni Bellini.

La Pietà

La Pietà

Conosciuto anche con il nome di Giambellino, fu tra i più celebri artisti del Rinascimento e uno dei maggiori esponenti della pittura veneziana. Cognato di Andrea Mantegna, ne subì decisamente l’influenza, evidente soprattutto nelle sue opere giovanili. In Bellini, il plasticismo metafisico di Piero della Francesca si fonde con il realismo umano di Antonello da Messina e con la profondità cromatica tipica dei pittori veneti rinascimentali, dando vita al cosiddetto “tonalismo”.

La Pietà, eseguita tra il 1460 e il 1470, rappresenta il corpo di Cristo morto, sorretto da un lato dalla Vergine Maria e, dall’altro, da San Giovanni. Lo sguardo di entrambi è pieno di dolore; Maria abbraccia Gesù con la stessa tenerezza con la quale lo cullava da bambino e San Giovanni ha il volto girato in direzione opposta rispetto a quello di Gesù, come a non sopportarne la visione. La lastra marmorea in primo piano rappresenta la separazione tra il mondo reale, di cui fa parte lo spettatore, e quello del dipinto. Tuttavia, la mano di Gesù, poggiata proprio su quella lastra, sta ad indicare l’annullamento del confine e la fusione tra i due mondi.

Gli stessi soggetti sono riportati anche nel Cristo morto, opera magistrale di Andrea Mantegna, datata 1474 circa: si tratta, probabilmente, di una delle opere più rivoluzionarie e sconvolgenti della storia dell’arte e di uno dei capolavori più preziosi in assoluto, presenti nella collezione di Brera.

Cristo Morto

Cristo Morto

Considerato il primo grande “classicista” della pittura, Andrea Mantegna fu interprete sublime di un’arte che può essere definita classicismo archeologico. Studiò nella bottega padovana dello Squarcione, dove venne a contatto con artisti del calibro di Paolo Uccello, Andrea del Castagno e, soprattutto, Donatello, dal quale apprese una precisa applicazione della prospettiva. La pittura di Mantegna si distingue, infatti, per la perfetta impaginazione spaziale, per il disegno nettamente delineato e per la forma monumentale delle figure.

Nel Cristo Morto, il corpo esanime di Cristo, semicoperto dal sudario, è disteso ed in procinto di essere preparato per la sepoltura. A compiangerlo ci sono la Vergine Maria, che si asciuga le lacrime con un fazzoletto, e San Giovanni, a mani giunte. Sullo sfondo, avvolta nell’ombra, si intravede anche una terza figura, probabilmente quella di Maria Maddalena.

Tuttavia, al di là dei personaggi, i veri protagonisti della composizione sono la luce e la prospettiva. La luce, proveniente da destra, fa risaltare le pieghe rigide del sudario, creando una serie di forti contrasti con le ombre e guidando l’attenzione dell’osservatore verso i dettagli più crudi del dipinto, a cominciare dalle ferite di Gesù: è una luce che si può definire narrativa e che alimenta fortemente il dramma e la partecipazione emotiva di chi osserva l’opera. Lo stesso si può dire per l’illusionismo prospettivo, che qui l’artista rappresenta con eccezionale abilità. 

Nessuno, prima di Mantegna, aveva saputo raffigurare un Cristo morto così ferocemente drammatico e, allo stesso tempo, così straordinariamente umano. 

Sono ancora tanti i capolavori esposti nella Pinacoteca e che ho ammirato lentamente, in un’atmosfera accogliente e silenziosa. Una vera e propria oasi nel cuore della città, in cui trovare rifugio dalla frenesia metropolitana per immergersi nel magico mondo dell’arte.

In copertina: Il Bacio di Hayez
immagini https://pinacotecabrera.org

 

 

 

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