SIPONTO – Dall’archeologia all’arte contemporanea

SIPONTO – Dall’archeologia all’arte contemporanea

La Basilica paleocristiana di Siponto, nei pressi di Manfredonia in provincia di Foggia, è stata oggetto di uno degli interventi destinati a divenire punto di riferimento per la pratica restaurativa in Italia e all’estero, proiettando letteralmente il sito archeologico nell’arte contemporanea.

Dopo il premio intitolato alla memoria del Prof. Riccardo Francovich, istituito dalla Società degli Archeologi Medievisti Italiani (SAMI), conseguito nel 2017 perché l’intervento ‘rappresenta la migliore sintesi fra rigore dei contenuti scientifici ed efficacia nella comunicazione degli stessi verso il pubblico dei non specialisti’, è di questi giorni il Premio speciale alla committenza della Medaglia d’Oro all’Architettura italiana, il più prestigioso premio d’architettura italiano istituito da La Triennale di Milano in collaborazione con il Mibac.

L’area archeologica di Siponto, immagine di Giacomo Pepe

L’area archeologica di Siponto, immagine di Giacomo Pepe

Ma in cosa consiste, esattamente, l’intervento e chi sono i suoi ideatori? Poco distante dalla cittadina di Manfredonia, in Capitanata, si trovano gli scavi dell’antica Sipontum. L’area archeologica testimonia l'importanza raggiunta in epoca romana (colonia dal 194 a.C.), quando Siponto assunse il ruolo di uno dei principali porti della Regio II. L’area si trova a circa 2 km dal centro di Manfredonia, in uno spazio in cui domina la chiesa di Santa Maria di Siponto (secc. XII-XIII), straordinario esempio di architettura romanica pugliese. Sulla destra della chiesa i resti della basilica paleocristiana, a tre navate con abside centrale e pavimento a mosaico, ricordano che fu sede di una delle più importanti diocesi della regione.

Pur essendo di grande interesse, come spesso accade per le sopravvivenze architettoniche archeologiche, l’area mostrava la peculiarità di un luogo in cui le tracce del costruito una volta scomparse, per distruzione o per abbandono, mantengono la loro influenza in quanto memorie o puri materiali. I resti della basilica confermano come spazio e tempo, che determinano un’opera architettonica, non si esauriscono con il deteriorarsi o con l’interrarsi di muri o pavimentazioni; le relazioni possono attenuarsi ma mai scomparire del tutto, i legami con la storia di un luogo possono affievolirsi ma il filo che lega edifici o città difficilmente si spezza, essendo oltremodo intrecciati i legami che uniscono architetture, paesaggi e centri urbani.

Immagine di Giacomo Pepe

Immagine di Giacomo Pepe

Se però le condizioni che nel passato hanno generato un edificio o un’architettura non svaniscono mai del tutto, la loro evidenza può ridursi sino a rendersi invisibile, soprattutto ad un pubblico di non addetti ai lavori.

Visualizzare il genius loci è il difficile compito dell’architetto restauratore posto di fronte a frammenti del passato che ci chiedono di riacquistare vita, senso, di ritrovare eloquenza attraverso azioni del nostro tempo. Un compito difficile, soprattutto in un Paese, quale l’Italia, sicuramente all’avanguardia nelle forme del restauro ma in cui è complicato, per gli operatori del settore, liberarsi da una dipendenza culturale ormai stratificata, che spesso incanala le scelte verso forme sicure, tradizionali, ‘metodologicamente corrette’.

Diverso il ‘caso’ Siponto. Qui, l’architetto Francesco Longobardi (Segretariato regionale del Ministero per i Beni e le Attività Culturali), progettista e direttore dei lavori, ha avuto la geniale, e convinta, intuizione di procedere attraverso una suggestione di spazialità perduta della basilica paleocristiana. Per poterlo fare ha pensato che fosse proprio l’arte contemporanea il mezzo più efficace per suggerire la terza dimensione, ormai irrimediabilmente perduta. Un’opera che doveva poter dialogare con il passato senza prevaricarlo, suggerirlo ma non determinarlo. Supportato in questa scelta dal Soprintendente Luigi La Rocca, l’architetto Longobardi ha interpellato un giovane artista, Edoardo Tresoldi, che ha realizzato una trasparente e quasi impercettibile struttura metallica permanente, alta circa 14 metri, a richiamare idealmente i volumi dell’antica basilica paleocristiana in continuazione con l’attigua cattedrale medievale. Tresoldi ha ricreato una percezione evanescente di quella che poteva essere l’antica struttura intrecciando fili di maglia metallica, trasformando un materiale industriale in vibrante materia che rende l’osservatore partecipe con l’identità del luogo. Il risultato è uno straordinario progetto di comunicazione visiva, che consente di comprendere lo spazio dal punto di vista dell’orientamento e dei contenuti. Un luogo che, soprattutto al tramonto, quando si accendono le luci dell’istallazione, sembra trasportare in uno spazio senza tempo.

La struttura creata da Edoardo Tresoldi, Immagine di BlindEyeFactory

La struttura creata da Edoardo Tresoldi, Immagine di BlindEyeFactory

L’operazione, che superando la novità dell’approccio continua a far parlare e a raccogliere premi, conferma come l’azione di restauro e valorizzazione debba farsi carico dello scarto che separa lo studioso – ma ancor più il visitatore di siti archeologici – dalla sensibilità che connotava l’artefice antico, la cultura, i committenti e i fruitori del suo tempo. Senza questo livello di attenzione, e di azione, si rischia di far giungere il manufatto architettonico di scavo ad uno stato di insignificanza che equivale ad una sparizione sostanziale pur in presenza di strutture evidenti.


In copertina: La basilica di Siponto dopo il restauro. Immagine di BlindEyeFactory

 

 

 

 

 

 

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