FLAVIO PARENTI - "Amo i ruoli che mutano nel tempo"

FLAVIO PARENTI - "Amo i ruoli che mutano nel tempo"

Definire Flavio Parenti semplicemente un attore, seppur di indiscutibile talento, è riduttivo. Le sue competenze spaziano dall’informatica alla gestione manageriale, dalla regia teatrale e cinematografica alla poesia e alla letteratura. Il tutto, accompagnato da una formazione internazionale e multiculturale. Lo abbiamo raggiunto per parlare della sua carriera, dei suoi mille interessi, e per scoprire da cosa trae ispirazione.

Flavio, è nato a Parigi ed ha studiato a Valbonne per un baccalaureat internazionale: parla, infatti, fluentemente italiano, inglese e francese.  Pensa che essere cresciuto in un contesto multiculturale possa aver influenzato, in qualche modo, le sue scelte di vita? 

Totalmente! Sono cresciuto in un ambiente dove il razzismo era inesistente. Più della metà dei ragazzi che frequentavano la mia stessa scuola erano figli di francesi espatriati in Africa per un motivo o per un altro, spesso diplomatici, e quindi sono cresciuto in una società multiculturale, dove nessuno apparteneva a una categoria specifica. Eravamo tutti ‘bastardi’ senza una casa, senza una terra, e quindi quel collegio è diventato la nostra casa. Io ero un italiano in Francia: in quel luogo ho trovato le mie radici e sono riuscito a crescere e a vedere il mondo in maniera diversa. L'inglese l'ho imparato lì, perché era la lingua che tutti parlavano; quindi, per forza di cose ho dovuto apprenderlo e, alla fine, quello è stato un enorme percorso formativo per me, perché ho avuto a che fare con tante culture, tante visioni del mondo, tante religioni. È stata un’esperienza pazzesca e mi ritengo molto fortunato ad averla vissuta.  

Quando ha capito che voleva dedicarsi alla recitazione?

L'ho capito abbastanza tardi, quando avevo circa 19 anni. All’epoca vivevo a Milano e studiavo informatica. Stavo guardando in televisione uno spettacolo della Lega Italiana di Improvvisazione Teatrale e ricordo che la cosa mi divertì moltissimo. Chiesi allora informazioni e iniziai a frequentare un corso per principianti. Il mio insegnante rimase impressionato: mi disse che ero portato e che avrei dovuto farlo come lavoro. Non sapendo assolutamente da dove cominciare, gli chiesi come si facesse a diventare un attore professionista e lui mi spiegò che esistevano delle scuole. Tra queste c'era il Teatro Stabile di Genova: partecipai a una selezione, entrai a farne parte e, da lì, si è poi sviluppata la mia carriera.

Ad essere sincero, però, non so ancora se ho davvero capito di voler essere un attore. Oltre a recitare faccio tanto altro, quindi diciamo che questa è solo una delle mie grandi passioni.

Dopo gli studi al Teatro Stabile di Genova, nel 2002, ha debuttato in teatro. Qual era il suo ruolo e cosa ricorda di quella prima esperienza? 

Prima del mio debutto ufficiale al Teatro Stabile avevo fatto diversi spettacoli e, tra questi, ce n’è uno in particolare che ricordo con grande affetto. Si chiamava Galois e io vi interpretavo Évariste Galois, un grande matematico vissuto durante la Rivoluzione francese. Galois era un francese romantico, dall’animo rivoluzionario, diviso tra la passione per la matematica e la volontà di combattere a difesa del suo popolo. La regia dello spettacolo era di Marco Sciaccaluga, che all'epoca era anche il direttore del Teatro Stabile di Genova, e per me quello fu un battesimo fantastico.

Una volta, poi, accadde una cosa pazzesca. Ci esibivamo per delle scolaresche, quindi la sala era sempre piuttosto piena. In un’occasione, a fine spettacolo, una ragazza (non so chi fosse) si alzò dalla platea durante gli applausi e salì sul palcoscenico, scrivendomi il suo numero di telefono sul braccio. Quello fu uno dei momenti in cui capii che dovevo davvero fare l'attore!

Nel 2008 il suo primo film: Parlami d’amore di Muccino. E poi tante collaborazioni e tanti premi importanti. Ha lavorato con registi del calibro di Sergio Rubini, Luca Guadagnino, Pupi Avati (solo per menzionarne alcuni) e, nel 2012, con Woody Allen in To Rome with Love. Cosa ha appreso da ognuno di loro?

Da ognuno di loro ho appreso qualcosa ma ce ne sono alcuni che mi sono proprio rimasti nel cuore. Ad esempio, Peter Greenaway e Pupi Avati. Da Pupi ho imparato l'amore per l'attore, la gentilezza e, soprattutto, il desiderio di raccontare una storia. Anche Silvio Muccino è un vero contastorie, così come lo è Woody Allen. In fin dei conti, tutti i grandi registi hanno a mente soprattutto l'economia della storia. Ognuno, però, vi contribuisce in maniera diversa.

Lei stesso, per diversi anni, si è occupato di regia. Qual era il suo stile?

In effetti me ne sono occupato per un po’ ma ora la regia non mi interessa più, anche perché lo trovo un lavoro troppo raffinato. Preferisco andare alla sorgente delle cose. Ciò che mi attrae è la genesi dell’idea, quindi prediligo la scrittura o la poesia.

Dalle sue pagine social emerge proprio la sua grande passione per la poesia. Quando ha iniziato a scrivere?

Ho iniziato a scrivere quando ho imparato a leggere: i momenti sono concatenati. Ho sempre desiderato scrivere e ho scritto un po’ di tutto: lettere d'amore, fumetti, storie, novelle, storie brevi, storie un po’ più lunghe, poesie brevi e lunghe. Provo un amore incredibile per la scrittura. A detta di mia madre, ho iniziato a scrivere prestissimo: avrò avuto tre o quattro anni. Spero, nel frattempo, di essere migliorato!

Si cimenta, ancora oggi, in vari generi letterari?

Sì, mi cimento in molti generi. Ad esempio, proprio adesso sto ultimando il mio romanzo d'esordio, che spero possa uscire entro quest'anno.

Da chi, o da cosa, trae ispirazione? 

Mi piace pensare che traggo ispirazione dal Noumeno. Per Platone questo concetto filosofico rappresentava un’idea che non può essere percepita nel mondo tangibile, ma a cui si può arrivare solo tramite il ragionamento. Quindi, per noumeno si intende un luogo non accessibile, che va al di là della nostra capacità di comprendere, ma che è il luogo in cui nascono le idee. Idee che poi, sotto forma di intuizione, entrano a far parte dell'inconscio collettivo. È lì che vado a scavare, ogni qualvolta in cui mi trovo in uno stato di leggerezza mentale che mi permetta di farlo.

Tra i personaggi da lei interpretati ricordiamo Raffaello Sanzio ne Il principe delle arti (un artista incredibile, da lei descritto come “capace di rapire il bello che aveva attorno”), ma anche quello di Bernardo Bembo nell’acclamata serie internazionale Leonardo. Come si prepara ad ogni nuovo ruolo?

Credo di avere una visione della recitazione abbastanza atipica rispetto ad altri colleghi. Sono convinto che il mio scopo, come attore, sia esclusivamente di aderire con tutta la mia anima alle parole del testo che mi viene fornito, incarnando il personaggio nel modo più totale e vicino a quanto descritto da chi quel personaggio lo ha creato. Tutto il resto – cioè il personaggio inteso come il vestito, il trucco, i capelli, insomma “la corazza” attorno all'anima – lo delego agli altri. Quindi posso dire che per me recitare è uguale in qualsiasi ruolo. A volte vi possono essere difficoltà maggiori, ad esempio se si recita in inglese: in quel caso la mia capacità di improvvisare è ovviamente meno acuta che in italiano. Nel ruolo di Bembo, ad esempio, recitavo in un inglese del Cinquecento. Ecco: lì bisogna fare molta attenzione a ciò che si dice; di solito, però, il mio approccio è sempre lo stesso.

Di recente è entrato a far parte del cast de Il Paradiso delle Signore. Cosa l’ha spinta a unirsi al progetto?

A dire il vero è iniziato tutto per caso. Un giorno stavo guardando la fiction su Raiuno e mi sono detto: “È fatta davvero bene. Mi piacerebbe parteciparvi!”. Ne ho parlato con Luca, il mio agente, e il caso ha voluto che il giorno successivo sia arrivata in agenzia una richiesta di provino per il ruolo di Tancredi.  Ho fatto il provino e sono subito entrato a far parte della squadra: è stato un processo molto veloce e naturale.

Fin dalle prime puntate, Tancredi di Sant’Erasmo si è rivelato un uomo complesso e misterioso. Inizialmente dipinto come cattivo e spietato, il giovane imprenditore piemontese appare ogni giorno più affascinante e, a tratti, inquietante. Cosa dobbiamo aspettarci da questo personaggio che in poco tempo ha conquistato anche il pubblico più esigente?

Devo dire che sono molto stupito da come Tancredi sia stato accolto. Io mi aspettavo delle reazioni un po’ più dure da parte del pubblico, anche perché si tratta di un personaggio con un passato molto carico, che arrivava con una reputazione terribile. Quindi, il mio lavoro si è focalizzato sul tentare di dare un senso a questa cattiveria. L'approccio che ho deciso di adottare è stato di dipingere un animo romantico, concentrandomi però sul lato oscuro di quel romanticismo. Pertanto, un uomo che, avendo perso l'amore, agisce al di là della sfera del bene andando, in alcune occasioni, anche contro se stesso. Tancredi è un personaggio dalle mille sfaccettature, che avrà un enorme impatto all'interno del “Paradiso”.

Quale considera, ad oggi, il suo più grande successo professionale e quale ruolo sogna di interpretare?

Nella recitazione, forse l’aver lavorato con Woody Allen ma, sinceramente, tutte le cose che ho fatto sono fenomenali. Nel ricordare di aver lavorato con Peter Greenway, Pupi Avati, i fratelli Taviani, Liliana Cavani, Luca Guadagnino, Sergio Rubini, mi sento fortunato da morire.
Al di là della recitazione, però, sono anche molto orgoglioso della società di sviluppo di videogiochi che ho fondato dieci anni fa e che adesso ha un organico di più di trenta persone. Si chiama Untold Games e ne vado molto fiero, perché è una realtà che non solo dà lavoro, ma produce arte: due cose che, insieme, sono rarissime.

Riguardo al ‘ruolo dei sogni’, sinceramente non ho un ruolo di riferimento. Il mio obiettivo, ogni volta, è semplicemente di scegliere un ruolo che abbia delle trasformazioni, che muti nel tempo.

Oltre quelli già menzionati, quali sono i suoi interessi e le sue passioni? Come ama trascorrere il tempo libero?

Gioco molto a scacchi. Sono uno scacchista di lunga data, infatti mio padre mi ha insegnato a giocare a sei anni. In seguito, però, ho approfondito l’interesse per gli scacchi leggendo libri e prendendo lezioni private da grandi maestri. È una vera e propria passione, che negli anni ho cercato di continuare a coltivare. Forse negli ultimi tempi sono riuscito a dedicarvi un po’ meno tempo a causa dei tanti impegni, ma la passione rimane. E poi, ovviamente, c’è la mia famiglia – la mia compagna, mia figlia, i miei genitori – con la quale cerco di trascorrere tutto il tempo che mi rimane dopo la recitazione, la scrittura, cioè il lavoro. Adoro anche tantissimo camminare.

Nuovi progetti in cantiere?

Sì, moltissimi! Ho appena terminato di girare una serie, che si chiama La lunga notte. Sto, inoltre, finalizzando un accordo per un'altra serie, di cui per ora non posso rivelare nulla, e sto lavorando sul mio romanzo d'esordio, un progetto per me molto importante e di cui spero, al più presto, di potervi dire di più.  

In copertina: Flavio Parenti
copyright immagini © P. Bruni

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