RAFFAELE DE PASCALIS - Il cacciatore di sogni

RAFFAELE DE PASCALIS - Il cacciatore di sogni

Salentino nel cuore, fiorentino d’adozione e sagittario nell’anima, Raffaele De Pascalis si definisce un cittadino del mondo e un cacciatore di sogni. Ama l’arte in tutte le sue forme: scrive, fotografa, dipinge, legge, cucina, ma soprattutto…sogna.

L’ho conosciuto a Praga qualche anno fa e sono rimasta immediatamente colpita dalla sua inarrestabile energia, l’innata curiosità e la voglia di mettersi continuamente in gioco.

Raffaele ama definirsi “incosciente”. Io, invece, trovo che abbia un coraggio immenso perché, nonostante la vita gli abbia riservato anche sfide difficili, lui non si arrende mai e accoglie ogni nuova avventura con grinta e passione.

Cerchiamo, attraverso le sue parole, di conoscerlo un po’ meglio…

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Raffaele, parlaci un po’ di te. Di cosa ti occupi?

Sono un architetto, mi sono laureato a Firenze ed ho esercitato la professione in Italia e all’estero; mi sono occupato di allestimenti mostre e interior design, fino a quando, proprio mentre attraversavo un momento particolare della mia vita con problemi di salute, ho deciso che non era quello che volevo veramente fare. Durante il periodo universitario avevo seguito corsi e workshop di fotografia e cucina e da sommelier in Italia e in Francia: allora ho deciso che era arrivato il momento di mettere in atto la mia reale passione e aprire il fatidico “cassetto dei sogni”. Così ho chiuso il mio studio, ho tirato fuori le mie macchine fotografiche, e, soprattutto, ho aperto il mio circolo culturale enogastronomico. Avevo da poco compiuto 45 anni e questo mio cambiamento fu accolto da tutti come un gesto di sana e inspiegabile follia: una sorta di incomprensibile salto nel vuoto. A tutto questo si era aggiunta la scrittura, che portavo sicuramente nel DNA, essendo mia madre una poetessa e scrittrice salentina molto conosciuta.

Quindi architettura, cucina gourmet, fotografia, scrittura e tanto altro. Tra i tuoi mille interessi, quale ti rispecchia di più e perché?

Il fatto che io non eserciti più la mia professione di architetto non mi fa sentire “penalizzato”; anzi, oggi se mi guardo indietro potrei dire che ripercorrerei la stessa strada, cercando solo di evitare i problemi di salute che ho avuto in passato. Poi, per chi crede nell’astrologia, sono un Sagittario e sono anche mancino: due caratteristiche che, pare, si ritrovino in personaggi dell’arte e della cultura molto famosi. Certo, non ho la presunzione e non pretendo di assomigliare a nessuno di questi; però posso dire con certezza che non ho un interesse specifico in qualcosa, ma cerco di applicarmi con serietà e usare sempre la mia fantasia per tutto quello che faccio; e questo si rispecchia, inevitabilmente, sia nella scrittura, che nelle altre arti.

Hai ricevuto numerosi riconoscimenti a livello internazionale. Qual è stata, fino a oggi, la tua più grande soddisfazione professionale?

Avevo vinto il mio primo concorso letterario da bambino, un premio per una favola di Natale ottenuto nella sede del famoso “Antoniano” di Bologna; poi la vita ti porta su strade diverse e tutto si era fermato, fino a quando mia madre, Vanna, la mia musa, non ha risvegliato in me questa mia passione. E così sono arrivati i primi risultati “maturi” più che soddisfacenti. Ho vinto due premi letterari Regione Puglia e ho ricevuto encomi e gratificazioni per i miei racconti. Contestualmente, la mia passione per la fotografia prendeva corpo, e anche lì ho avuto grandi soddisfazioni, che sono culminate in una pubblicazione di due fotografie nel volume “World Street Photography 4” nel 2017, edito per Kujaja da GUDBERG NERGER (Amburgo); e in una mia foto esposta in una galleria ad Amsterdam nel 2019. Poi nel 2020 una mia foto è stata selezionata tra i migliori 5 lavori presentati per il concorso “Covid-19: Politics in Art” organizzato da Konrad-Adenauer-Stiftung and Human Art Dialogue NGO. Ma la più importante gratificazione in ambito internazionale è avvenuta nel 2019, quando sono stato ospite d’onore al “1st International Armenian Photofestival” svoltosi a Yerevan, dove ho partecipato con una mostra personale e una masterclass su cucina e fotografia.

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Cosa vuol dire, a tuo avviso, essere un artista in quest’epoca?

Per quanto questo termine nei miei confronti venga usato spesso da altri, non riesco a definire me stesso “artista”. Ritengo di essere uno dei tanti coraggiosi che un giorno ha deciso che la strada che stava percorrendo non gli dava le soddisfazioni e la serenità che cercava e, per questo, ha dato una svolta importante alla sua vita mettendo in atto tutto quello che aveva fino ad allora imparato e gelosamente custodito. Certamente quest’epoca non aiuta chi sceglie una strada così complessa e difficile come quella del mondo dell’arte, in tutti i suoi aspetti. Ma ritornando al discorso “astrologico”, sono un Sagittario e vado avanti per la mia strada, convinto che il bello debba ancora venire.

Ti definisci “scrittore per incoscienza” e poco fa parlavi di coraggio. Moravia diceva che il coraggio è incoscienza. Pensi, quindi, di essere anche uno scrittore coraggioso?

Mi definisco “scrittore per incoscienza”, e lo stesso potrei dire della fotografia e della cucina che occupa, ultimamente, una parte importante della mia vita lavorativa, ma solo perché questi mondi sono abitualmente governati da chi crede di possedere, o effettivamente possiede, “la parola” e vede come intrusi tutti quelli che cercano, nel loro piccolo, di crearsi un proprio spazio. Per esempio, nel mondo della gastronomia ho concentrato la mia attenzione sulla cucina mediterranea, quella più tradizionale, che punta ai sapori di un tempo e che preferisco presentare nella sua semplice bellezza e bontà. Se poi tutto questo mi faccia sentire “coraggioso”, beh… devo ammettere, con una punta di orgoglio, che la risposta è affermativa. Tutta la mia vita in questi ultimi anni è stata segnata da scelte per me coraggiose, e, anche se sono perfettamente consapevole che si possa decidere di cambiare la propria vita in un preciso momento, farlo a 45 anni o più è ben diverso che farlo da giovani e incoscienti. Forse perché, in caso di errore, le possibilità di tornare sui propri passi si riducono fortemente.

Tra i tuoi lavori più recenti c’è anche il racconto breve Caronte. Di cosa parla? Cosa ti ha ispirato a scrivere questa storia?

Caronte è un racconto a cui, da sempre, sono legato affettivamente. Infatti ero giovanissimo  nel 1991 quando a causa del crollo del governo albanese si riversarono sulle coste salentine decine di migliaia di profughi. Niente che possa paragonarsi a quello che succede oggi con l’immigrazione. Basti pensare che in un solo giorno arrivarono, nel porto di Brindisi – una città con 90mila abitanti – oltre 25mila albanesi in fuga dalla loro patria, e molti altri nei giorni successivi: una vera “invasione”. E proprio a differenza  di quanto accade oggi, tutta la popolazione delle città pugliesi che si erano viste “invadere” di colpo, scese in piazza con coperte, vestiti e cibarie, o aprendo le proprie case per ospitare i profughi. Fu una gara di solidarietà che commosse il mondo. A seguito di questa prima fase l’Albania, che non riusciva ad avere un governo stabile, divenne il punto dove chi cercava di scappare da quello stato di estrema povertà, era disposto a pagare per attraversare quello stretto braccio che separa la città di Valona a Otranto, sognando di rifarsi una vita in un paese che loro conoscevano benissimo, visto che le loro antenne televisive captavano i nostri programmi nazionali. Iniziarono così le nuove traversate “clandestine” gestite dalle mafie, che oltre a persone portavano droga e armi. In Caronte ho cercato, attraverso un racconto a tratti crudo, di lasciare un segno di speranza anche a chi, deluso dalla vita, si trova ad affrontare prove difficili e deve fare, per poter cambiare, scelte altrettanto difficili. E, inoltre, come spesso uso fare quando scrivo, ho utilizzato la musica, quasi fosse una colonna sonora della storia.

La vita ti ha portato a vivere in diversi Paesi. Cosa hai imparato da ognuno dei luoghi in cui hai vissuto?

Quelle scelte di cui ho parlato all’inizio mi hanno portato in giro per l’Europa. Poi, quattro anni fa, ho conosciuto quella che è diventata mia moglie l’anno scorso e, senza pensarci, l’ho seguita nel suo lavoro a Praga, dove abbiamo vissuto anni molto belli e stretto tante belle amicizie. Oggi viviamo in Olanda e, appena possiamo, scappiamo letteralmente verso le nostre case, in Salento o in Andalusia, la terra da cui proviene Eva. Amiamo entrambi il clima e i rapporti umani che solo in posti come il Sud si riescono ancora ad avere. Vivere fuori casa mi ha fatto imparare ad avere il massimo rispetto per chi ti sta ospitando, anche se la vita di “espatriato” non è sempre rose e fiori come si possa pensare; molto spesso capita che ai problemi del proprio paese si aggiungano quelli del paese che ti ospita. Ma il mio motto è sempre lo stesso: “pensa positivo”.

C’è un luogo ideale in cui sogni di vivere?

Chi non ha un luogo ideale dove sogna di vivere? Io poi, spesso, mi descrivo “cittadino del mondo” e gestisco, quando posso ed ho tempo, un mio blog che si chiama “cacciatore di sogni”. Se potessi scegliere il mio posto ideale, questo sarebbe una casetta in campagna con un grande terreno e tanti alberi a poca distanza dal mare, dove passare il tempo con la mia famiglia, i nostri libri e la nostra cagnolina. Quando penso a questo mi viene in mente l’Algarve, in Portogallo, o comunque un posto simile, dove si possa mantenere la giusta distanza dalla civiltà caotica ed avere, nello stesso tempo, un aeroporto vicino per poter prendere l’aereo per il prossimo viaggio.

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Nuovi progetti in cantiere?

I progetti in cantiere, come sempre, sono tanti. Ho pubblicato nel 2015 il mio primo libro di racconti Favole metropolitane – il vinaio e altre storie, che ha riscosso ottimi risultati nella critica e nel pubblico nonostante fossi un esordiente. Ho terminato di scrivere in questi giorni il mio primo vero romanzo, di cui anticipo il titolo: Un freddo agosto. Si tratta di un giallo “light” ambientato nel Salento e, avendolo pensato come una trilogia, ho iniziato a scrivere già la seconda parte. Inoltre, giusto per non farmi mancare nulla, sto sistemando e correggendo una raccolta di storie che dovevano essere la naturale continuazione di Favole Metropolitane. In tutto questo, ho un ulteriore sogno nel cassetto: vorrei realizzare un libro di cucina, mettendo insieme le ricette di famiglia che mia madre custodiva gelosamente. Chissà… Sono abituato che, ad inseguirli, prima o poi i sogni si avverano.

In copertina: Raffaele De Pascalis
(scatto di Angela Caputo Lezzi)

Materiale visuale per gentile concessione di Raffaele De Pascalis

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